lunedì 8 ottobre 2012

L'omelia


Un velo lungo quanto la nostra amicizia. Un sorriso che ogni volta, a vederlo, è una buona notizia.
Un abito bianco come il suo candore, sporcato dal luccichio di brillantini che riflettono la sua imperfezione. Io sono agitatissima ed emozionata, mentre lei è tranquillissima.
E finalmente arrivano in chiesa, lei e la consapevolezza di essere parte di un prodigio umano.
Una chiesa di dimensioni modeste ma comunque in grado di inglobare milioni di emozioni e ricordi.
Ogni passo che fa verso di noi, con quel magnificente sorriso ed il viso coperto, è la spinta al motore della mente che mi rimanda ininterrottamente immagini di ciò siamo state insieme, anche noi nel bene e nel male, anche noi per sempre, finché morte non ci separi.

Il prete comincia l'omelia e va in confusione, dice cose sconnesse, perde il filo, si impappina, incespica, cade.
All'inizio sorrido poi lo compatisco: in quella chiesa a parlare ci sono troppe persone, sono troppe le parole che vengono pronunciate e le persone ad esprimere emozioni, uno differentemente dall'altro,  che il messaggio assume molteplici forme ed angolazioni, tale da perdere totalmente significato nell'assumerne troppi.

Io di mio, in quel tumulto emotivo, vivo la mia personalissima omelia.



1: Insegnamenti.
La vita non ci insegna niente. Non è il vivere a far maturare, ma il morire.
Morire dentro, se la sofferenza affoga la serenità e la strizza.
Le parabole insegnano soltanto che sbagliare ci rende odiosamente vulnerabili e che l'intenzione di migliorare è passeggera, almeno quanto la volontà di non commettere più gli stessi errori.
Morire dentro e sentire forte la paura di ricadere nel dolore, quello insegna, null'altro.

2: Preghiere.
Mai pregare con le parole delle preghiere. Enunciare frasi preconfezionate convinti che le nostre speranze siano in esse pienamente espresse ed i nostri desideri chiaramente definiti, ci porterà all'assoluto nulla.
L'unico modo per essere ascoltati è parlare con le proprie parole, e definire i propri pensieri nella maniera che ci è più familiare. Più ci allontaniamo dal nostro modo di parlare, più ci allontaneremo da noi stessi.

3: Promesse.
Promesse che si fanno e poi non si mantengono, oppure promesse che vengono mantenute seppur non siano state mai fatte solennemente.
Il segreto è promettere col cuore e promettersi coerenza. A testimoniare e a mantenere viva la promessa ci penseranno i gesti che uniscono.

4: Segno di pace.
Voltarsi a destra, poi a sinistra. Porgere la mano e fare la pace.
Magari fossi sempre in grado di porgere con tale immediatezza e semplicità la mano incontro a chi ne ha bisogno. Magari. Il punto è che non so farlo, se non amo quella persona. Lo ammetto: quando a porgere la mano verso l'altro sono tutte le persone intorno, è facile, sin troppo. 
Sentirsi parte di un tutto ed essere consapevoli che il tutto rende l'uno poco, rende gli slanci molto più semplici. Dovrei imparare a credere, convincendomene, che sono eternamente parte di un tutto, di un macrocosmo in cui sono una particella microscopica che agisce in concerto con gli altri...ma nel mio intimo so di essere incredibilmente gigante, ingombrante, assolutamente soffocante e dannosamente incombente e che i miei gesti e le mie parole spingono facendo una pressione cosmica fortissima sulle altre persone.
No, non riesco a sbilanciarmi troppo, non sono capace di tanto.

5: Andate in pace.
Dove andiamo in pace? Se qualcuno ci dicesse dove andare in pace, noi andremmo.
No, qui non c'è pace. Non è mai sereno e la luce è poca ed io non so proprio dove trovarla questa pace...forse è nascosta da qualche parte o è già qui, ma io non la vedo.
Nessuno la vede. 
E se nessuno la vede, non c'è. E se nessuno vuole vederla, non c'è. E se nessuno riesce a vederla, non c'è.
No, non c'è. Abbiamo talmente paura di vederla, che non la vedremo mai.






© Ambra De Prisco



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1 commento:

  1. "Morire dentro e sentire forte la paura di ricadere nel dolore. Questo insegna" scrivi e dunque non c'è remissione, ma solo resistenza al dolore. Un vecchio proverbio lombardo sostiene che "quan un corpu al sa frusta, l'anima la sa giusta" . Più o meno siamo su quella linea...

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