lunedì 8 ottobre 2012

L'omelia


Un velo lungo quanto la nostra amicizia. Un sorriso che ogni volta, a vederlo, è una buona notizia.
Un abito bianco come il suo candore, sporcato dal luccichio di brillantini che riflettono la sua imperfezione. Io sono agitatissima ed emozionata, mentre lei è tranquillissima.
E finalmente arrivano in chiesa, lei e la consapevolezza di essere parte di un prodigio umano.
Una chiesa di dimensioni modeste ma comunque in grado di inglobare milioni di emozioni e ricordi.
Ogni passo che fa verso di noi, con quel magnificente sorriso ed il viso coperto, è la spinta al motore della mente che mi rimanda ininterrottamente immagini di ciò siamo state insieme, anche noi nel bene e nel male, anche noi per sempre, finché morte non ci separi.

Il prete comincia l'omelia e va in confusione, dice cose sconnesse, perde il filo, si impappina, incespica, cade.
All'inizio sorrido poi lo compatisco: in quella chiesa a parlare ci sono troppe persone, sono troppe le parole che vengono pronunciate e le persone ad esprimere emozioni, uno differentemente dall'altro,  che il messaggio assume molteplici forme ed angolazioni, tale da perdere totalmente significato nell'assumerne troppi.

Io di mio, in quel tumulto emotivo, vivo la mia personalissima omelia.



1: Insegnamenti.
La vita non ci insegna niente. Non è il vivere a far maturare, ma il morire.
Morire dentro, se la sofferenza affoga la serenità e la strizza.
Le parabole insegnano soltanto che sbagliare ci rende odiosamente vulnerabili e che l'intenzione di migliorare è passeggera, almeno quanto la volontà di non commettere più gli stessi errori.
Morire dentro e sentire forte la paura di ricadere nel dolore, quello insegna, null'altro.

2: Preghiere.
Mai pregare con le parole delle preghiere. Enunciare frasi preconfezionate convinti che le nostre speranze siano in esse pienamente espresse ed i nostri desideri chiaramente definiti, ci porterà all'assoluto nulla.
L'unico modo per essere ascoltati è parlare con le proprie parole, e definire i propri pensieri nella maniera che ci è più familiare. Più ci allontaniamo dal nostro modo di parlare, più ci allontaneremo da noi stessi.

3: Promesse.
Promesse che si fanno e poi non si mantengono, oppure promesse che vengono mantenute seppur non siano state mai fatte solennemente.
Il segreto è promettere col cuore e promettersi coerenza. A testimoniare e a mantenere viva la promessa ci penseranno i gesti che uniscono.

4: Segno di pace.
Voltarsi a destra, poi a sinistra. Porgere la mano e fare la pace.
Magari fossi sempre in grado di porgere con tale immediatezza e semplicità la mano incontro a chi ne ha bisogno. Magari. Il punto è che non so farlo, se non amo quella persona. Lo ammetto: quando a porgere la mano verso l'altro sono tutte le persone intorno, è facile, sin troppo. 
Sentirsi parte di un tutto ed essere consapevoli che il tutto rende l'uno poco, rende gli slanci molto più semplici. Dovrei imparare a credere, convincendomene, che sono eternamente parte di un tutto, di un macrocosmo in cui sono una particella microscopica che agisce in concerto con gli altri...ma nel mio intimo so di essere incredibilmente gigante, ingombrante, assolutamente soffocante e dannosamente incombente e che i miei gesti e le mie parole spingono facendo una pressione cosmica fortissima sulle altre persone.
No, non riesco a sbilanciarmi troppo, non sono capace di tanto.

5: Andate in pace.
Dove andiamo in pace? Se qualcuno ci dicesse dove andare in pace, noi andremmo.
No, qui non c'è pace. Non è mai sereno e la luce è poca ed io non so proprio dove trovarla questa pace...forse è nascosta da qualche parte o è già qui, ma io non la vedo.
Nessuno la vede. 
E se nessuno la vede, non c'è. E se nessuno vuole vederla, non c'è. E se nessuno riesce a vederla, non c'è.
No, non c'è. Abbiamo talmente paura di vederla, che non la vedremo mai.






© Ambra De Prisco



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martedì 27 marzo 2012

Turin Brakes, Sea Change

Sea Change




Odio a morte la radio. 
In auto mi indispongo e mi acciglio se sono costretta ad ascoltare musica che non ho scelto, condita di spot pubblicitari e imposta alle mie orecchie dall'intervallo che intercorre l'uscita di un cd e l'entrata di un altro nello stereo.
Non riesco proprio ad accettare che qualcun'altro scelga la musica per me.
La musica accompagna i pensieri e scandisce gli istanti della nostra esistenza per cui deve essere quella giusta e non può essere scelta "a caso".
Se è vero che il pianeta Terra pullula di canzoni e che si può tranquillamente affermare che sono state scritte canzoni praticamente su tutto, non si può non ammettere che ci sono attimi della nostra giornata che sembrano proprio calzare perfettamente dentro una canzone.
Il nostro rapporto con la musica è fondato sul baratto continuo, su di un reciproco, equo e leale scambio.
Stamattina ho aperto il cassetto dove custodisco i miei dischi e ho deciso di portare con me, e di ascoltare in auto, "OUTBURSTS" dei Turin Brakes.
Io amo i Turin Brakes. Conosco talmente bene la loro musica che mi pare di conoscere la loro vita dettagliatamente.
Gale e Olly hanno scritto in musica le loro storie ed io l'ho lette, ascoltare, rilette, interiorizzate, fatte mie ed ora appartengono a me. 
Così come la mia storia appartiene a loro: non c'è attimo della mia esistenza da "adulta", infatti, che non sia collegato a loro, in un modo o nell'altro.
Loro sono praticamente tutta la mia vita, ed io, a mio modo, sono la loro.
Inserendo quel disco nello stereo della mia auto mi sono piombati addosso come una cascata tutti i ricordi legati alla loro musica. E sono davvero tanti.
20 minuti. Questo è quanto, questo è il tempo che impiego per arrivare a lavoro in auto. 4 canzoni, non oltre e 1200 secondi...infiniti, intensi, bellissimi, come ogni attimo della mia esistenza.
E' sconcertante prendere d'improvviso coscienza che ricordi seppelliti in un cassetto possono inaspettatamente riaffiorare nitidi, come se fossero quotidiani.

Ed è ancora più incredibile provare sensazioni ormai lontane e sentirle scorrere vibranti e vive come mai prima.
Il potere della musica: battere ovunque, fortissimo, a tempo...accorciare la distanza e la lontananza, rompere la monotonia, accendere la malinconia, strappare un sorriso e far piangere lacrime amare, tutto in un istante, in un attimo che moltiplicato per 1200 secondi, 4 canzoni e venti minuti è la storia della mia vita, racchiusa in due voci delicate e nel suono di due chitarre armoniche che hanno capovolto il mio mondo, rifocillato di aria fresca la mia anima, purificato i miei pensieri e risollevato il mio cuore in un istante che è diventato "sempre" nel momento in cui ho capito che non volevo separarmi da quel suono e quelle parole che sono diventati miei e resteranno soltanto miei, anche quando li udirò provenire da un altro mondo che non mi appartiene perchè di lì in poi apparterrà soltanto a me, come mia resterà sempre l'emozione di quell'ascolto, che è amore assoluto e puro e passione, interminabile ed eterna.





© Ambra De Prisco


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sabato 3 marzo 2012

Solitudo forza 8.0o



La solitudine è cercarti e trovarti lontano da me mentre l'amore straripa fra i pensieri ed i sentimenti, generando un'emozione teneramente lacerante.
Che senso ha continuare ad aspettarti?
Non verrai mai a bussare alla porta del cuore, per dire le parole che vorrei sentirti dire.
Continuerai ad amarmi nel silenzio e nel buio di un angolo della tua anima, di cui nemmeno riconosci l'esistenza e che è quell'incrocio di fronte al quale i tuoi pensieri si fermano, si smarriscono come in una città straniera e tornano indietro, senza mai avere il coraggio di svoltare l'angolo per scoprire cosa c'è oltre.
Mi domando se già sai che lì ci sono io, con questo amore infinito che sfida la ragione ma che non ha più voce per gridare il dolore, la delusione, il rimpianto.
Cerco nel cuore e nella mente parole semplici che possano descrivere ciò che provo, perché nell'anima si muovono pensieri e sentimenti che non riesco più a definire.
So che hanno a che fare con l'amore per te, un amore fatto di emozioni e dell'impossibilità di esprimerlo perché tu non vuoi ascoltare, non vuoi sentire quelle parole dette e poi dimenticate, quelle promesse silenziose che mi hai fatto per poi negarle un secondo dopo a te stesso.
Potrei riempire pagine, quaderni, risme di carta di parole accorate e sincere, ma ciò mai potrebbe colmare il desiderio che ho di riempire lo spazio che mi separa da te.
Vorrei annullare la distanza fisica che ci separa inventando un sistema per raggiungerti in un luogo ove il tempo non ha inizio né fine, dove non esistono sotterfugi e bugie.
Vorrei che mi vedessi, e che ti incamminassi verso di me, invece di aspettarmi con quel peso nel cuore che poi l'immobilità moltiplica per mille.
E vorrei che quegli abbracci e quei baci che siamo stati così bravi ad evocare con le parole diventassero contatti concreti, emozioni capaci di annullare lo strazio dell'anima, mentre cerca le labbra dell'altro e grida il dolore dell'assenza delle tue braccia.
Il calore di una carezza sul viso farebbe sciogliere il cuore in scintille di amore e invece il tepore delle dita che sfiorano gli occhi, le mani, il cuore è solo un sogno che toglie il sonno, che mozza il fiato, che sferza l'anima come l'uragano devasta il mare ed io, naufrago della vita, con l'ultimo respiro cercherò di non morire.





© Ambra De Prisco


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martedì 17 gennaio 2012

ranc(u)ore



Energia dirompente,
carica di ostilità.
Sentimento astioso,
carico di amarezza.
Antidoto miracoloso
carico di aggressività.
Strategia virtuosa 
che tempra lo spirito.
Forza ambigua
che guida nel buio.
Luce straniera che illumina il cuore.
Nodo allo stomaco
che fa scalpitare l'anima.
E' l'unica ragione che ho
per combattere,
l'unica strada da poter scegliere.
E' il grido propiziatorio prima della battaglia,
la paura di incontrare il dolore...
la consapevolezza che altrimenti si riconoscerà la paura.
Il timore di perdere il timone e di cominciare a soffrire.
La soluzione allo sconforto,
la mole per reagire...
l'unica sensazione a cui aggrapparsi pur di non morire.


   



© Ambra De Prisco


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sabato 14 gennaio 2012

...E non mi piace respirare



Questo è tutto quello che sai darmi...brevi attimi di serenità, lievi sensazioni di benessere...

E non dovrei accontentarmi ma temo che solo ciò che sono adesso sarà lì per sempre.
Mi sale un'ansia che non oso descrivere mentre una lieve piaga mi scortica l'anima...

E non mi piace respirare, non riesco a farlo, ecco tutto.
Tutto ciò che mi sta intorno e che entra dentro di me attraverso il mio sguardo mi sembra illogico. Non temo ciò che non conosco...io temo le mie reazioni...interne, soffuse, soffocate.

E non ditemi che non dovrei...non resisto e non voglio, o semplicemente non ci riesco.
Il passato insegna ma ciò che resta è soltanto quella giusta e semplice voglia di sentirsi vivi...
Vorrei del tempo da dedicare a te, senza pensare alle conseguenze sul domani...vorrei che il tempo si fermasse e che il domani diventasse niente...
Non so nemmeno se quello che mi darai varrà la pena che sto provando...non mi pongo questo tipo di domande...ciò che odio sono le risposte...soprattutto quando non coincidono con i miei propositi.


© Ambra De Prisco



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mercoledì 4 gennaio 2012

per sbaglio, Verdena: wOw





2011
E' decisamente la canzone che ho ascoltato di più quest'anno. Intensa. Immensa. Indefinibilmente perfetta.
Questo è il mio tributo ai Verdena, coi quali, almeno fino a WoW, avevo comunicato poco.
Poi, da quella 3 traccia in poi, ascoltata quel lontanissimo giorno di un acerbo 2011, sono iniziate le parole, le frasi, i discorsi, le confidenze, i consigli, il confronto ed il dialogo.
Grande album, doppiamente grande se si pensa che è un doppio.
Grazie per quel violino e per quell'acido.
Direi che è proprio salito in me...forse in un caffè...più di un'ora fa...



lunedì 2 gennaio 2012

Perché scrivo?

Girando per il web, ho notato che molti scrittori cominciano il proprio blog cercando di spiegare, razionalizzando, il motivo per il quale scrivono e non ne capisco proprio il perché.
Mi è venuto, onestamente, da chiedermi la stessa cosa. 
Perché io scrivo? 
Sono rimasta un po' in silenzio e mi sono guardata attorno. Boh, beh, bah...sì, certo. 

"Perché sì" mi è venuto da pensare e credo che non ci sia eloquenza maggiore procreabile dalla fusione di altre parole se non queste. 
Beh, io scrivo.
Se non dovesse piacere a nessuno, io continuerò a scrivere...e se nessuno capirà di cosa sto parlando, meglio ancora.
Se mi prenderanno per pazza, avrò raggiunto il mio scopo e  se sgraneranno gli occhi, allora sì che mi compiacerò.
Chissenefrega del giudizio altrui.
Io scrivo per me. Punto e basta. E nessuno può togliermi il diritto di scrivere, di qualsiasi cosa io voglia, di ciò che mi circonda e di ciò che non conosco, di ciò che mi emoziona o di ciò che mi lascia indifferente.
Io scrivo e non mi sento speciale né tantomeno privilegiata.
Chiunque può scrivere, e se ha voglia deve farlo, a prescindere dal risultato.
Se ci prende l'istinto di colorare i righi del taccuino di inchiostro nero e pensoso, bisogna lasciarsi andare alle parole dell'anima e se abbiamo bisogno di urlare silenziosamente la nostra rabbia al mondo, basta imprimerla sulla carta.
Non c'è cosa più bella di poter ritrovare se stessi e quello che siamo stati su quella carta ingiallita dal passare degli anni. 
Non c'è sensazione più intensa del vedersi impressi in una fotografia "cartacea" colorata d'inchiostro. 
Chiunque può scrivere se vuole farlo. Cattivo o buono, comunque sia il risultato, ciò che conta è che faccia star bene in quel momento, e ancor più bene una volta abbandonati lì i pensieri.
Perchè scrivo?
Perché sì, io scrivo e scrivo per me stessa e se scrivere mi fa sentire viva e soprattutto libera, allora le emozioni che dipingerò a penna sicuramente arriveranno a coloro che le vedranno ritratte di nero.



© Ambra De Prisco



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domenica 18 dicembre 2011

L'idea



Ci sono delle persone, delle idee di persone che,  purtroppo, non si scordano mai…
Non sono quelle sul primo amore, che finisci per odiare perché ti fanno sentire umiliato e stupido…No, queste sono idee di persone che chissà che fine hanno fatto, sono semplici idee che sai che sono lì dentro di te, ingombranti ed invadenti, che vivono e che respirano come le persone vere e che senti convivere con tutto ciò che sei dentro quell’angusto spazio che sei tu…e c’è così poco spazio…
Anche se tutto finisce perché non c’è nulla di più instabile della vita stessa…certe idee restano, intatte nel tuo modificarti…tu cambi, ti evolvi, mentre quelle idee restano lì, occupano sempre lo stesso spazio nella tua vita e se le accantoni… scalpitano poiché stanno strette, perché  percepiscono che gli stai attribuendo poco valore.
Vivo periodi di variegata intensità emotiva…ma io una idea così ce l’ho…quella idea lì resta…quell’idea lì non cambia, non si trasforma, non muta…quell’idea lì  sei Tu…
Forse, imprimendoTi con l’inchiostro nero su questo foglio bianco, mi libererò di Te…forse, invece, farei bene a coccolarTi un po’ di più, a cullarTi, a cantarTi qualche ninna nanna per prolungare infinitamente la tua permanenza in me.
Sono stanca di tenerti qui, Idea mia, ma se dovessi andar via mi sentirei vuota…
Vorrei tanto correre il rischio e provare cosa significa essere libera; ma no…meglio non tentare.
Sarà colpa del tuo impeto, così forte ed irrompente…ma io non ho mai amato un’idea quanto Te.
Tu, così magica e misteriosa, da essere al contempo capace di comparire e sparire, di consistere e di non esistere in alcun luogo e in alcun tempo…un’idea così ineffabile da non sussistere affatto…così palpabile da essere dappertutto…
E io Ti amo come il primo giorno, come il primo istante in cui Ti ho percepita…
Sei Tu che non te ne vai, che mi fai compagnia nei momenti bui e in quelli di luce e che mi sei fedele…sei l’unica cosa che non mi ha mai lasciata e che mi è amica…
La persona che è la base fisica e materiale di Te è….semplicemente una persona, oramai lontanissima…ma, al posto suo, ci sei Tu, Tu che resti sempre qui, attimo dopo attimo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno…fedele come un cane, e sempre più distante e differente dal soggetto dal quale nasci e prendi vita e che quasi non ricordo più.
Lui, lasciandomi, mi ha voltato le spalle incamminandosi verso la sua vita. Il sole era accecante quel giorno ed io ricordo di aver abbassato lo sguardo verso l’asfalto per nascondere le lacrime e di aver accennato un saluto d’addio all’ombra del mio amore che andava via…poi d’improvviso Tu, davanti a me, sorridente, materna, disponibile ed io, che avevo un vuoto incolmabile dentro di me, ti ho accolta a braccia aperte.
Da quel giorno gelosamente ti custodisco in me, come un segno che non oso cancellare, come un ricordo che talvolta ritorna alla mente…se solo potessi controllare la mia mente e mandarti via…e invece no.
Quando sono in crisi Tu riaffiori sempre, sempre puntuale…non mi deludi mai e rimani costantemente l’alternativa più fantastica alla mia infelicità.
Vorrei ardentemente scacciarTi via perché nulla mi ha fatto soffrire quanto quello che Tu rappresenti…ma così, né vicina né lontana, sei così dolce, così speciale, così adorabile…che Ti desidero qui accanto a me, ancora più vicina, se possibile.
Se dovessi abbandonarmi troppo a Te potrei certamente impazzire…io, sì…già conosco quanto la tua forza sia distruttiva se le do modo di imporsi.
Quante volte ho ceduto, e quanti errori commessi a causa Tua!
E adesso? Adesso sono al punto di partenza, perché non faccio altro che pensarTi!
Se avessi potuto scegliere tra il conoscerTi o meno, giuro che non avrei avuto dubbi: nonostante tutto il male, io Ti adoro e Ti voglio accanto così come sei: luminosa nel Tuo splendore, docile nella Tua dolcezza, aspra nella Tua crudeltà, bella nella Tua semplicità…
Sei una semplice idea, forse un sogno, il castello fatato che a noialtri non è dato sapere come raggiungere, il rifugio dove tutti noi avremmo voglia di nasconderci, la felicità più assoluta che nessuno di noi ha mai avuto il piacere di provare…e allora dovrei pensare che forse non sei dentro di me, forse non sei così vicina, perché non c’è modo per me di arrivare a Te…
Sono così infelice che non so più dove volgere il mio sguardo…non so dove se non verso di Te!
Adesso non vedo niente tranne che me, sul picco di una montagna ripida…e sono indecisa tra il volare via, veloce, sicura, travolta dal vento…e il tornare indietro, giù per il sentiero ma…sconfitta, piccola piccola quanto un granello di terra che si può facilmente pestare.
Cosa fare?
Per ora respiro che è già tanto….domani, o chissà quando, oltre a respirare riprenderò a sorridere.
E allora Tu potrai finalmente ritornare in letargo.
Talvolta temo che non esista più letargo per Te….che Tu possa farti troppo forte per me…o che io diventi incapace di domarTi….
Per ora non mi preoccupo di tale eventualità e lotto contro la tentazione di agguantarTi e stringerTi…
Ma se poi….
No, non devo e …Tu non devi.
Tu, però, resta…e trattieni accanto a te la mia paura di viverTi.
Se mi convinco che tornerai, tu lo farai perché mi conosci troppo bene.
Se Ti dico che non ho tempo per te, allora Ti accontenterai dei momenti brevi che Ti dedico quando mi ritorni in mente.
E allora sì, meglio continuare a far finta di niente…dal momento che ciò che si cela dietro, e dentro di Te è un errore che già troppe volte ho commesso.
Come vorrei andassi via…no…Ti tengo qui….che senza di Te è probabile che io non esista.
Lo so bene che tra me e Te…
Tu vinci e sempre vincerai…non ho armi per combattere un nemico che amo più di me stessa.

CON AMORE E NOSTALGIA A TE,
DOLCE IDEA MIA.



© Ambra De Prisco



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Il BaraTtolo di Vernice



E’ un po’ di tempo che Carlo si guarda intorno. Sta svolgendo un lavoro empirico, fatto di induzione ed esperienza sul campo. Scruta, rimugina, formula e applica le intuizioni alla sua persona. La materia di studio è principalmente lui, e le persone che lo circondano. Osservare gli fa bene, riesce a dare voce a concetti timidi ed embrionali quando vede le persone intorno a lui muoversi. A scuola gli hanno insegnato che ogni individuo è un universo a sé, unico ed irripetibile, ma nessuno gli ha mai detto che gli uomini che compongono il genere umano, nella loro diversità, conservano alcuni tratti comuni.
 Carlo si è guardato bene attorno, ed è certo che quello che dice è vero; oltretutto, essendo egli stesso un esemplare della specie umana, ha analizzato le sue impressioni partendo prima di tutto da se stesso, per poi applicarle agli altri.
Non vuole offendervi, anzi. Spera di aiutare tutti noi a fare una seria e profonda analisi di noi stessi. Aprite le vostre menti come ho fatto io, perché bisogna essere ben disposti per accettare l’ipotesi ch'egli avanza.
Secondo lui, l’essere umano è lamentoso, rumoroso, inerme, impotente e momentaneo, sente sempre il bisogno di compatirsi, e di farsi compatire ma sopra ogni cosa è insoddisfatto della sua vita, comunque essa sia. Anziché affrontare le diffcoltà, resta immobile e si guarda intorno e, nel corso della sua vita, è per lo più disperato. Quando le cose si complicano, va in crisi...resta imbambolato e tende la mano in cerca di aiuto: aspetta che qualcuno passi, lo ascolti attentamente e colga il problema, attende trepidante il passaggio di chi possa porgergli un barattolo di vernice, contenente la risposta ai suoi guai. Il barattolo, si. Una versione moderna del vaso di Pandora che, anziché contenere i mali del mondo, cela in sé la “soluzione”, la vernice, appunto. Se poi la soluzione di vernice è anche di un colore gradevole, cosicché si possa essere soddisfatti della tinteggiatura dell’ambiente ancora meglio, per chi non è stato capace di fare da sé. Solito copione, valevole per il genere umano tutto: ad una perdita, all’insoddisfazione, all'infelicità o ad una malattia,  fa seguito la crisi. Alla crisi segue l’attesa, la speranza di incontrare l’incarnazione di uno dei Re Magi che benevolmente ci porgerà il suo dono, la soluzione alla causa del nostro stato di infelicità o d’insoddisfazione, quella soluzione magicamente capace di risollevarci, di cambiarci la vita, di renderci di nuovo felici.
Carlo crede fermamente che questa è l’unica cosa che l’uomo sia veramente in grado di fare: appena prende coscienza di ciò che gli è accaduto si dispera, si dimena, va nel pallone e non sa che pesci prendere. Chiede consiglio, perché è fermamente convinto che una persona esterna sia più razionale, meno coinvolta. Ovviamente si rivolge ad una persona che stima e attende, in silenzio. Una volta ricevuto il consiglio (la soluzione, la vernice) tinteggia la camera con il colore che gli è stato proposto e osserva: alcune volte è soddisfatto altre, anche se non lo dice apertamente, la vernice non gli piace, perché non si adatta all’arredamento. Perché non l’ha scelta lui.
Come può l’uomo negare la propria natura? Come può l’uomo negare a se stesso il potersi lamentare, l’odiare prendere decisioni importanti, ed il lamentarsi dopo aver seguito un consiglio rivelatosi sbagliato? E come può privarsi dei sogni, che gli colorano la vita? Come può non lamentarsi, poi, quando nessuno di questi si avvera, sebbene non abbia fatto nulla per realizzarli? No, non riesce proprio a farne a meno.
Carlo espone la sua teoria con forza: sa di aver puntato il dito contro la specie umana e, per forza di cose, contro sé stesso; è un essere umano anche lui e in quanto tale, conserva le caratteristiche degli altri componenti della stirpe: ama compatirsi e odia prendere decisioni radicali. O almeno, amava compiangersi fno a quando non è stata proprio la sua vita ad imporgli un cambiamento totale.
Carlo ha passato la prima metà dell’anno 2005 disteso sul divano, a guardare la televisione e ad aspettare una telefonata, dopo della quale tutto sarebbe dovuto tornare al suo posto. Nel frattempo, voleva solo rilassarsi e non accumulare tensione alcuna.
Veniva da un anno di grandi conquiste, sia in ambito privato che lavorativo. Finalmente era stato selezionato da un’azienda importante, per un lavoro gratifcante sebbene fosse a tempo determinato, e al contempo aveva trovato l’amore della sua vita. Insomma, non poteva desiderare altro. 
La felicità, però non è MAI un SEMPRE e a dicembre arrivò la repentina battuta d’arresto: quel lavoro che l’aveva costretto ad un anno di iperattività caratterizzato da tempi andanti, ritmi intensi e crash ridondanti volgeva al termine e lo costringeva al silenzio, almeno fino a nuova partitura da eseguire.
Nel suo futuro momenti romantici alternati all’apatia totale, dovuta all’impossibilità di trovare un’altra occupazione altrettanto ragguardevole, data la crisi economica mondiale. Carlo si sentiva come dopo una stagione teatrale quando, a sipario calato, gli attori vengono congedati fino alle audizioni per il nuovo spettacolo. Le strade dei protagonisti della scena sono costrette a separarsi e gli attori scelgono il momentaneo da farsi: chi si da al corso di dizione, chi prende parte a piccole produzioni, chi ritorna dalla propria famiglia e chi, decide di rilassarsi, di non dedicarsi a nulla, nemmeno ai propri interessi, nemmeno alle cose che lo fanno star bene.
C’è chi decide di fare come lui, di crogiolarsi, di compatirsi, di lamentarsi senza agire; chi, come Carlo, decide di regalare alla tappezzeria del divano 186 giorni della sua vita. 
Carlo era annoiato e sapeva bene che non avrebbe trovato facilmente un altro lavoro; poteva, però, dedicarsi ad un hobby, darsi alla lettura o alla scrittura, ad esempio. E invece niente, a parte lo sbuffare ed il lamentarsi, il compatirsi, il compiangersi. Carlo ha deliberatamente deciso di non dedicarsi a nulla e di restare in attesa di quella telefonata che avrebbe preannunciato il suo ritorno a quel "determinato" lavoro, non importava quanto ci sarebbe voluto. 
Volendo essere positivo, i suoi sei mesi “supini” erano volati a furia di intervallare i suoi sbadigli ad un flm, un’uscita con gli amici, una chiacchierata o la Wii. La realtà è che i suoi sei mesi “supini” sono passati tra un lamento, un litigio, uno sfogo, una sfuriata, il nervosismo, la rabbia e la noia. 
E proprio quando era sull’orlo di una crisi di nervi, ecco arrivare quella telefonata.
 La notizia del ritorno a lavoro fu un evento straordinario per lui, considerato lo stato mentale ed emozionale in cui verteva. Era felice e si sentiva pieno perchè aveva nuovamente tutto: il lavoro, l’amore, gli amici e la salute. 
Anzi no. 
La sua prima settimana in azienda coincise con alcune analisi di routine a cui normalmente si sottoponeva, che gli rivelarono inaspettatamente la presenza di un brutto male.
La salute non ce l’aveva più, l’aveva abbandonato, senza preavviso. E lui non ci aveva capito niente, non aveva notato niente, nemmeno quell'escrescenza così evidente sulla sua pelle.
Carlo non credeva si fosse obbligati a barattare la perfezione con la realtà, non credeva fosse impensabile avere tutto dalla vita, contemporaneamente.
E invece lo è, perché la perfezione non può esistere nel mondo reale. Tanto meno nel suo. 
Fu costretto a fermarsi. Niente lavoro, niente uscite, nessuno svago.
In quel frangente era la sua vita ad imporgli la noia e l’apatia. Fu forzato a stendersi a letto e a fare da tappezzeria al suo divano, stavolta perché non aveva la forza per alzarsi.
I dottori gli consigliarono di evitare lo stress, gli dissero che non doveva stancarsi, che doveva riguardarsi. Fu obbligato a non lavorare, proprio durante il periodo della rassegna teatrale, e dovette rinunciare al ruolo principale. Fu perciò costretto a regalare alla tappezzeria del divano altri 127 giorni della sua vita. 
Sono stati mesi diffcili quelli, mesi in cui Carlo non si è potuto nemmeno permettere di piangere o di compatirsi, perché tutta la forza d’animo e il coraggio che aveva dovevano essere investite nella lotta contro la malattia. Alla fine di quei lunghissimi, estenuanti 127 giorni Carlo ce l’ha fatta, ha vinto la malattia ed è potuto ritornare alla vita di sempre, anche se sapeva che mai più nulla sarebbe stato come prima.
Non si può restare illesi dopo uno scontro mortale; si è già fortunati se si sopravvive. La vita l’aveva costretto a barattare la perfezione con la realtà, e Carlo aveva promesso a se stesso che non si sarebbe mai più lasciato scorrere sul divano in attesa della grande emozione, aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più sprecato tempo a lamentarsi e che avrebbe deciso saggiamente come spendere ogni istante: doveva smettere di commiserarsi, e cominciare ad esistere, sul serio questa volta.
Dovremmo tutti smetterla di compatirci e di mostrarci lamentosi, rumorosi, inermi ed impotenti, ma sopra ogni cosa insoddisfatti della nostra vita. Potremmo smetterla di commiserarci, e cominciare a vivere, la cosa non sarebbe male.
Ma c’è un però.
La sua insegnante di storia glielo diceva spesso: le più grandi catastrofi sono riuscite ad insegnare poco al genere umano, che velocemente impara ed altrettanto velocemente dimentica. Nonostante i buoni propositi e gli insegnamenti della vita, che velocemente scordiamo, restiamo quelli che amano compiangersi e odiano prendere decisioni radicali. Io confido nel potere dell’uomo di essere artefce del proprio destino, di saper essere reattivo, forte, deciso e coraggioso all’occorrenza, nonostante le avversità. E confido nell’esperienza, che insegna il valore della vita. Ma l’uomo è prima di ogni altra cosa un animale, benché sia evoluto. Può emanciparsi e dar prova delle proprie virtù, può accantonare il suo essere costantemente propenso ad assecondare il suo temperamento ma, sebbene disponga dei mezzi per contrapporsi ad esso, ci riesce solo per brevi periodi, intermezzi durante i quali da ampio sfogo al suo Io coraggioso ed intrepido.
Un Io con un’autonomia limitata, che prima o poi crolla e chiede un sostegno, un aiuto. Che prima o poi comincia a lamentarsi per l’eccessivo peso sulle sue spalle e a compatirsi e compiangersi perché si sente abbandonato, lasciato solo con la sua tragedia personale. Mi piacerebbe immaginare uno scenario differente, ma temo che Carlo abbia ragione: non saremo mai in grado di andare contro la nostra imperante essenza. Può l’uomo negare la propria natura? No, proprio non può. A breve anche Carlo dimenticherà il dolore e classifcherà come “incubo” quel tragico intermezzo. Il dolore si tramuterà in ricordo e la normalità riacquisterà il sapore aspro e fastidioso di sempre: Carlo ritornerà alla quotidianità e, al minimo intoppo, si avvilirà e sbufferà, come prima. Ciò che lo rende un privilegiato, però, è che è consapevole che tutto questo gli accadrà e che nulla potrà fare contro il Sè stesso che gli governa l'animo.
Carlo ha deciso che si piegherà allo stato delle cose: sbufferà, si lamenterà, si compiangerà e si rammaricherà per ogni stupido intoppo perché poco altro potrà fare.
Gli ho consigliato, però, di dimenarsi in piedi, di evitare di farlo da supino, soprattutto disteso quel maledetto divano, perché tutto quello che ha dovuto passare potrebbe ritornargli in mente il tempo necessario a rovinargli la giornata e conoscendolo so che è una cosa che proprio non potrebbe sopportare.






© Ambra De Prisco



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Prima di essere Qui






Le emozioni scivolano,
Come il tempo passano.
Forte battito…
D’ali.
Oscura direzione,
Volo senza una meta, verso l’ignoto…
Nella speranza di trovarlo.
Petalo dopo petalo si sfoglia la vita
Un alito…
Di vento soffia sulla mia pelle
Ed io m’inebrio di tale inconsistenza dei sensi.
Volgo lo sguardo a te, sollevati.
Sì, elevati da questo stato
Di perenne insoddisfazione e….
Riga la tua pelle.
Accarezza la semplicità,
Assapora gli istanti
Vivi come mai hai fatto
O come avresti voluto prima di essere qui,
Con me.

© Ambra De Prisco



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AmAre è un'Arte





Amare è un’arte.
L’amore trasforma, plasma.
Rende argilla, modellabile dalle mani dell’amore.
Rende vulnerabili, inermi, distruttibili.
Rende prodi, impavidi, coraggiosi.
L’amore è l’unica cosa per cui l’uomo ritiene valga la pena lottare, perché l’amore vale tutte le pene che infligge.
Pur senza ricavarne giovamento alcuno, l’uomo ama.
E l’amore lo ripaga rendendogli indietro patimento e sofferenza.
Nonostante ciò, l’amore resta il dolore più bramato ed ambito.
E l’uomo ama soffrire per amore.
L‘amore mette alla prova resistenza e nervi, sfida il tempo e la ragione, sovverte l’ordine naturale delle cose, semina caos e turbamento.
Eppure l’uomo sfida se stesso pur di agguantarlo.
L’amore, però, è schivo, disilluso, guardingo.
Non si mostra agli occhi superficiali e frettolosi, sa che da essi potrà ricavare breve appagamento.
Egli si regala solo a coloro i quali sanno attendere, a coloro che sanno sfidare le regole e chiedono di mettersi in gioco.
L’amore ama i prodi e odia i codardi.
L’amore ama la costanza e odia l’instabilità.
L’amore ama il sacrificio e odia il formalismo.
E ama l’uomo che supera le sue prove.
Non può amare chi si arrende a metà strada, chi rinuncia all’amore.
L’amore può amare soltanto chi ama e chi si regala all’amore.
L’amore resta ammaliato dalle gesta delle persone comuni, che mettono a frutto i suoi insegnamenti.
Capita che resti sconcertato dalla naturalezza con la quale le persone amano, senza  particolare impegno.
Ed è lì che l’amore comprende la sua forza.
S’irrigidisce e si lancia contro coloro i quali si sforzano di amare e non sanno farlo.
Diventa implacabile, e scaglia contro di loro la pena di non ricevere mai amore.
Si addolcisce invece, verso coloro i quali amano senza attendere nulla in cambio e donano il loro cuore incondizionatamente.
Diventa magnanimo, e regala loro l’immensa gioia del sentirsi amati.
Voi siete ciò che l’amore ama.
L’amore vi ama, Teresa e Giovanni, vi ama.
Ama ciò che avete fatto per lui, e ve ne è riconoscente.
Ama i vostri sforzi, i vostri sacrifici, la vostra determinazione, la necessità che avete uno dell’altro.
Regnerà nella vostra casa, e vi osserverà soddisfatto.
Talvolta si appisolerà, tranquillo di potersi prendere una distrazione, e trarrà giovamento dalla vostra unione.
L’amore si alimenterà col vostro amore, e vi regalerà altro amore.
Ed io non potrò che essere testimone di questo prodigio dell’amore che siete voi due, insieme.


© Ambra De Prisco

   


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La CioCcolata

 Lo stereo acceso copre il fracasso dei clacson e dei motori mentre la radio ci tiene compagnia in questa meravigliosa giornata di sole.
Napoli è una città estiva, fatta di strade dipinte di colori e vivacità. L’inverno non le fa onore; il grigiore del tempo si fonde con quello dell’anima dei suoi cittadini, afflitti dall’onnipresenza della pioggia e desiderosi di vivere l’animosità delle strade, che si ripopolano nei mesi caldi.
Marco ed io stiamo andando in centro, io sono seduta al suo fianco e lo osservo mentre guida l’auto. Mi piace da impazzire. Mi è sempre piaciuto tanto.
A volte mi fermo a riflettere, e mi rendo conto che nonostante io lo conosca da dieci anni, Marco mi riesce ogni giorno a fare lo stesso effetto.
Nonostante gli anni passino in fretta e la monotonia incomba sul nostro rapporto, io non riesco a smettere di guardare Marco e di pensare che mi piaccia ancora da morire.
Mi emoziono ogni volta che lo vedo e sono allegra ogni volta che facciamo conversazione, cosa che capita un milione di volte al giorno.
Ricordo che la prima volta che l’ho incontrato, dieci anni fa, non mi fece alcun effetto, anzi mi fu addirittura indifferente.
Ero una ragazzina, allora. A parte qualche cotta adolescenziale, non avevo ancora idea di cosa significasse il groppo alla gola o il battito accelerato dovuto all’innamoramento.
Eppure quell’incontro mi ha cambiato la vita.
Marco è in ogni sguardo che rivolgo alle persone, in ogni parola che dico, in ogni attimo che vivo, in ogni opinione che esprimo, in ogni battito del mio cuore, in ogni respiro che faccio.
Marco è la mia naturale continuazione. Marco è la mia anima gemella.
Mi ha insegnato tutto. La mia amica Rosa dice spesso che non c’è episodio significativo della mia vita che, naturalmente o forzatamente, non possa essere ricondotto a Marco, e come darle torto!
L’ho conosciuto quando avevo venti anni e mi occupavo solo della scuola e della musica e con l’amore non avevo avuto ancora a che fare.
Dal momento in cui ho incontrato la sua anima, il mio cuore non si è mai allontanato da lui.
Io sono stata altrove, ho fatto le mie esperienze, i miei errori, la mia vita. Ma il mio cuore è sempre stato lì, con Marco.
Non ci ho messo molto a capire che quella persona, ai tempi sconosciuta per me, aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che nemmeno anni di assenze e silenzi avrebbero potuto cancellare.
Se è vero che il fare la sua conoscenza non mi scombussolò la vita, Marco riuscì a conquistarmi in meno di due settimane, e alla fine fui io a diventare dipendente dalla sua presenza.
Il tempo passato con lui magicamente volava via, come uno stormo che migra sorpassando il mare e il sorvolare tutta quell’acqua salata accresceva in me la sete di lui.
E’ così scostante all’apparenza che non si sa come bisogna prenderlo; sembra altezzoso, distante, criptico, disinteressato a quello che gli gira intorno.
Non è esatto dire che l’apparenza inganna. L’apparenza è solo uno scrigno, chiuso con un lucchetto.
Bisogna impegnarsi per indovinare la combinazione se si vuole andare oltre ciò che meramente appare.
Senza indizi, aprire il forziere è un compito ineseguibile, e Marco decise di rendermi noti solo i primi numeri della combinazione tenendo per sé il resto, in attesa di vedere quali sarebbero state le mie mosse.
Io riuscii a criptare il messaggio ed aprii il baule.
Quel distacco, quel silenzio, quella riservatezza che lessi durante il primo incontro erano reali, ma rappresentavano solo una piccola parte di quel meraviglioso universo.
L’essere entrata nelle grazie del re del riserbo fu davvero un traguardo per me, e avendo ottenuto un posto al suo fianco non avevo intenzione di perderlo.
Non era importante cosa facessimo, i minuti che si susseguivano sembravano tutti attimi perfetti, perfettamente intarsiati da risate e carezze.
L’idea di essere amici non ci ha mai sfiorati; erano le nostre mani, le nostre labbra, i nostri sensi che si sfioravano invece, continuamente.
E più si conoscevano e meno potevano allontanarsi gli uni dagli altri.
L’odore della sua pelle e la sua voce mi sono rimasti impressi sull’epidermide e nelle orecchie per tutto il tempo, passato vicino o lontano da lui.
Marco è l’adrenalina, l’amore, la passione, la compatibilità, il rispetto, l’armonia, l’arte, la gioia, la forza, la comprensione che mi serve nella vita.
È l’ossigeno. Non so come ho fatto a vivere senza aria per tre anni, adesso che respiro.
Ebbene sì, quando la vita decise di separarci, lo fece in pompa magna. Non ci parlammo e non ci incontrammo per tre lunghissimi anni.
Forse c’era qualcosa che dovevamo imparare stando separati.
I dolori e le esperienze che hanno intervallato la nostra separazione, ci hanno reso capaci di accoglierci con amore e rispetto.
La mancanza e la nostalgia sono stati gli ingredienti segreti della ricetta del nostro amore.
Durante la permanenza alla sua corte, il Re del riserbo mi rimpinzò di prelibatezze e leccornie.
Quando fui costretta ad abbandonare il palazzo reale, mi fortificò scoprire che potevo sopravvivere anche senza inghiottire le squisitezze che erano servite al suo banchetto, ma stare a digiuno dopo aver assaporato le bontà della tavola è una condanna a morte.
A dire il vero si sopravvive, talvolta si deve, ma il cibo che si ingerisce per alimentarsi non ha più quel gusto e non arreca lo stesso stato di soddisfazione, sazietà e godimento.
Mi fa soffrire pensare a quanto l’orgoglio ci influenzi la vita, ma la propria sopravvivenza ha la priorità rispetto al compiacere gli altri.
Bisogna ammettere che il proprio benessere è al primo posto fra gli obiettivi dell’essere umano, e non è certo possibile sacrificare le proprie necessità a favore della soddisfazione di quelle degli altri, a maggior ragione quando l’assecondarle arreca sofferenza.
Ecco perché quando ho tentato di rendere felice Marco e Marco voleva far felice solo se stesso, ho dovuto arrendermi.
Ho abbandonato la battaglia quando ero oramai stremata, sola e senza armi. Di fronte a me un impavido cavaliere ancora con l’armatura e la spada era pronto ad attaccare, nuovamente. L’ho guardato, gli ho sorriso, mi sono voltata e sono andata via, per la mia strada.
In una notte dalla nube fitta, ho percorso una via ripida, in salita, piena di buche, di fango, di sassi, di piante spinose che mi hanno ferita ad ogni passo.
Quando sono giunta sul sentiero, è finalmente sorto il sole.
Nonostante la fatica e le lesioni sul mio corpo, non ero stanca e mi sentivo pronta per correre verso la felicità.
Mancava qualcosa, però. Qualcosa che avevo lasciato all’inizio del cammino.
Non ho avuto paura di tornare indietro e di affrontare la foschia di nuovo, forte dell’esperienza acquisita.
Sono andata a riprendermi Marco, con tutta la forza ed il coraggio che avevo.
Stavolta volevo renderlo felice, e rendere felice anche me.
E Marco era pronto a realizzare la sua felicità in me.
Probabilmente aveva percorso lo stesso sentiero, ma il buio non ci aveva permesso di intravederci.
Da allora non ci siamo più separati, e abbiamo percorso quella salita insieme, stavolta circondati dal calore dei raggi del sole e da una natura benevola.
Quando si incrocia l’amore vero, non lo si fa per un istante, ma per tutta la vita.
Marco è tutto ciò che speravo che fosse, e anche qualcosa in più.
Ogni giorno mi regala qualcosa di prezioso, che gelosamente conservo nel mio baule a forma di cuore.
Mi accarezza, mi sorride, mi ascolta, mi parla, mi osserva, mi protegge, mi rimprovera, mi accudisce, mi supporta, mi avvolge.
E mi regala tanta cioccolata.
Ogni giorno un tipo di cioccolata diversa, un tipo di felicità diversa.
Io resto sempre senza parole; non credevo esistessero così tanti tipi di cioccolata, con tanti sapori diversi, tutti dolcissimi.
Marco è la mia cioccolata, è il dolce di cui la mia vita ha bisogno.
E allora sì, voglio ingrassare, rimpinzarmi di cioccolata.
Buonissima coccolata, dolcissima cioccolata, purissima cioccolata.
Buonissimo Marco, dolcissimo Marco, purissimo Marco.
Auguro al mondo intero tanto gusto nella vita, da svegliarsi la mattina e desiderarne ancora, e ancora.
Ti amo Marco e ti amerò per sempre.
Da quel giorno che mi sono accorta di te al giorno in cui chiuderò gli occhi per sempre, felice di averti avuto nella mia vita.
Da sempre. Per sempre.
© Ambra De Prisco


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