E’ un po’ di tempo che Carlo si guarda intorno. Sta svolgendo un lavoro empirico, fatto di induzione ed esperienza sul campo. Scruta, rimugina, formula e applica le intuizioni alla sua persona. La materia di studio è principalmente lui, e le persone che lo circondano. Osservare gli fa bene, riesce a dare voce a concetti timidi ed embrionali quando vede le persone intorno a lui muoversi. A scuola gli hanno insegnato che ogni individuo è un universo a sé, unico ed irripetibile, ma nessuno gli ha mai detto che gli uomini che compongono il genere umano, nella loro diversità, conservano alcuni tratti comuni.
Carlo si è guardato bene attorno, ed è certo che quello che dice è vero; oltretutto, essendo egli stesso un esemplare della specie umana, ha analizzato le sue impressioni partendo prima di tutto da se stesso, per poi applicarle agli altri.
Non vuole offendervi, anzi. Spera di aiutare tutti noi a fare una seria e profonda analisi di noi stessi. Aprite le vostre menti come ho fatto io, perché bisogna essere ben disposti per accettare l’ipotesi ch'egli avanza.
Secondo lui, l’essere umano è lamentoso, rumoroso, inerme, impotente e momentaneo, sente sempre il bisogno di compatirsi, e di farsi compatire ma sopra ogni cosa è insoddisfatto della sua vita, comunque essa sia. Anziché affrontare le diffcoltà, resta immobile e si guarda intorno e, nel corso della sua vita, è per lo più disperato. Quando le cose si complicano, va in crisi...resta imbambolato e tende la mano in cerca di aiuto: aspetta che qualcuno passi, lo ascolti attentamente e colga il problema, attende trepidante il passaggio di chi possa porgergli un barattolo di vernice, contenente la risposta ai suoi guai. Il barattolo, si. Una versione moderna del vaso di Pandora che, anziché contenere i mali del mondo, cela in sé la “soluzione”, la vernice, appunto. Se poi la soluzione di vernice è anche di un colore gradevole, cosicché si possa essere soddisfatti della tinteggiatura dell’ambiente ancora meglio, per chi non è stato capace di fare da sé. Solito copione, valevole per il genere umano tutto: ad una perdita, all’insoddisfazione, all'infelicità o ad una malattia, fa seguito la crisi. Alla crisi segue l’attesa, la speranza di incontrare l’incarnazione di uno dei Re Magi che benevolmente ci porgerà il suo dono, la soluzione alla causa del nostro stato di infelicità o d’insoddisfazione, quella soluzione magicamente capace di risollevarci, di cambiarci la vita, di renderci di nuovo felici.
Carlo crede fermamente che questa è l’unica cosa che l’uomo sia veramente in grado di fare: appena prende coscienza di ciò che gli è accaduto si dispera, si dimena, va nel pallone e non sa che pesci prendere. Chiede consiglio, perché è fermamente convinto che una persona esterna sia più razionale, meno coinvolta. Ovviamente si rivolge ad una persona che stima e attende, in silenzio. Una volta ricevuto il consiglio (la soluzione, la vernice) tinteggia la camera con il colore che gli è stato proposto e osserva: alcune volte è soddisfatto altre, anche se non lo dice apertamente, la vernice non gli piace, perché non si adatta all’arredamento. Perché non l’ha scelta lui.
Come può l’uomo negare la propria natura? Come può l’uomo negare a se stesso il potersi lamentare, l’odiare prendere decisioni importanti, ed il lamentarsi dopo aver seguito un consiglio rivelatosi sbagliato? E come può privarsi dei sogni, che gli colorano la vita? Come può non lamentarsi, poi, quando nessuno di questi si avvera, sebbene non abbia fatto nulla per realizzarli? No, non riesce proprio a farne a meno.
Carlo espone la sua teoria con forza: sa di aver puntato il dito contro la specie umana e, per forza di cose, contro sé stesso; è un essere umano anche lui e in quanto tale, conserva le caratteristiche degli altri componenti della stirpe: ama compatirsi e odia prendere decisioni radicali. O almeno, amava compiangersi fno a quando non è stata proprio la sua vita ad imporgli un cambiamento totale.
Carlo ha passato la prima metà dell’anno 2005 disteso sul divano, a guardare la televisione e ad aspettare una telefonata, dopo della quale tutto sarebbe dovuto tornare al suo posto. Nel frattempo, voleva solo rilassarsi e non accumulare tensione alcuna.
Veniva da un anno di grandi conquiste, sia in ambito privato che lavorativo. Finalmente era stato selezionato da un’azienda importante, per un lavoro gratifcante sebbene fosse a tempo determinato, e al contempo aveva trovato l’amore della sua vita. Insomma, non poteva desiderare altro.
La felicità, però non è MAI un SEMPRE e a dicembre arrivò la repentina battuta d’arresto: quel lavoro che l’aveva costretto ad un anno di iperattività caratterizzato da tempi andanti, ritmi intensi e crash ridondanti volgeva al termine e lo costringeva al silenzio, almeno fino a nuova partitura da eseguire.
Nel suo futuro momenti romantici alternati all’apatia totale, dovuta all’impossibilità di trovare un’altra occupazione altrettanto ragguardevole, data la crisi economica mondiale. Carlo si sentiva come dopo una stagione teatrale quando, a sipario calato, gli attori vengono congedati fino alle audizioni per il nuovo spettacolo. Le strade dei protagonisti della scena sono costrette a separarsi e gli attori scelgono il momentaneo da farsi: chi si da al corso di dizione, chi prende parte a piccole produzioni, chi ritorna dalla propria famiglia e chi, decide di rilassarsi, di non dedicarsi a nulla, nemmeno ai propri interessi, nemmeno alle cose che lo fanno star bene.
C’è chi decide di fare come lui, di crogiolarsi, di compatirsi, di lamentarsi senza agire; chi, come Carlo, decide di regalare alla tappezzeria del divano 186 giorni della sua vita.
Carlo era annoiato e sapeva bene che non avrebbe trovato facilmente un altro lavoro; poteva, però, dedicarsi ad un hobby, darsi alla lettura o alla scrittura, ad esempio. E invece niente, a parte lo sbuffare ed il lamentarsi, il compatirsi, il compiangersi. Carlo ha deliberatamente deciso di non dedicarsi a nulla e di restare in attesa di quella telefonata che avrebbe preannunciato il suo ritorno a quel "determinato" lavoro, non importava quanto ci sarebbe voluto.
Volendo essere positivo, i suoi sei mesi “supini” erano volati a furia di intervallare i suoi sbadigli ad un flm, un’uscita con gli amici, una chiacchierata o la Wii. La realtà è che i suoi sei mesi “supini” sono passati tra un lamento, un litigio, uno sfogo, una sfuriata, il nervosismo, la rabbia e la noia.
E proprio quando era sull’orlo di una crisi di nervi, ecco arrivare quella telefonata.
La notizia del ritorno a lavoro fu un evento straordinario per lui, considerato lo stato mentale ed emozionale in cui verteva. Era felice e si sentiva pieno perchè aveva nuovamente tutto: il lavoro, l’amore, gli amici e la salute.
Anzi no.
La sua prima settimana in azienda coincise con alcune analisi di routine a cui normalmente si sottoponeva, che gli rivelarono inaspettatamente la presenza di un brutto male.
La salute non ce l’aveva più, l’aveva abbandonato, senza preavviso. E lui non ci aveva capito niente, non aveva notato niente, nemmeno quell'escrescenza così evidente sulla sua pelle.
Carlo non credeva si fosse obbligati a barattare la perfezione con la realtà, non credeva fosse impensabile avere tutto dalla vita, contemporaneamente.
E invece lo è, perché la perfezione non può esistere nel mondo reale. Tanto meno nel suo.
Fu costretto a fermarsi. Niente lavoro, niente uscite, nessuno svago.
In quel frangente era la sua vita ad imporgli la noia e l’apatia. Fu forzato a stendersi a letto e a fare da tappezzeria al suo divano, stavolta perché non aveva la forza per alzarsi.
I dottori gli consigliarono di evitare lo stress, gli dissero che non doveva stancarsi, che doveva riguardarsi. Fu obbligato a non lavorare, proprio durante il periodo della rassegna teatrale, e dovette rinunciare al ruolo principale. Fu perciò costretto a regalare alla tappezzeria del divano altri 127 giorni della sua vita.
Sono stati mesi diffcili quelli, mesi in cui Carlo non si è potuto nemmeno permettere di piangere o di compatirsi, perché tutta la forza d’animo e il coraggio che aveva dovevano essere investite nella lotta contro la malattia. Alla fine di quei lunghissimi, estenuanti 127 giorni Carlo ce l’ha fatta, ha vinto la malattia ed è potuto ritornare alla vita di sempre, anche se sapeva che mai più nulla sarebbe stato come prima.
Non si può restare illesi dopo uno scontro mortale; si è già fortunati se si sopravvive. La vita l’aveva costretto a barattare la perfezione con la realtà, e Carlo aveva promesso a se stesso che non si sarebbe mai più lasciato scorrere sul divano in attesa della grande emozione, aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più sprecato tempo a lamentarsi e che avrebbe deciso saggiamente come spendere ogni istante: doveva smettere di commiserarsi, e cominciare ad esistere, sul serio questa volta.
Dovremmo tutti smetterla di compatirci e di mostrarci lamentosi, rumorosi, inermi ed impotenti, ma sopra ogni cosa insoddisfatti della nostra vita. Potremmo smetterla di commiserarci, e cominciare a vivere, la cosa non sarebbe male.
Ma c’è un però.
La sua insegnante di storia glielo diceva spesso: le più grandi catastrofi sono riuscite ad insegnare poco al genere umano, che velocemente impara ed altrettanto velocemente dimentica. Nonostante i buoni propositi e gli insegnamenti della vita, che velocemente scordiamo, restiamo quelli che amano compiangersi e odiano prendere decisioni radicali. Io confido nel potere dell’uomo di essere artefce del proprio destino, di saper essere reattivo, forte, deciso e coraggioso all’occorrenza, nonostante le avversità. E confido nell’esperienza, che insegna il valore della vita. Ma l’uomo è prima di ogni altra cosa un animale, benché sia evoluto. Può emanciparsi e dar prova delle proprie virtù, può accantonare il suo essere costantemente propenso ad assecondare il suo temperamento ma, sebbene disponga dei mezzi per contrapporsi ad esso, ci riesce solo per brevi periodi, intermezzi durante i quali da ampio sfogo al suo Io coraggioso ed intrepido.
Un Io con un’autonomia limitata, che prima o poi crolla e chiede un sostegno, un aiuto. Che prima o poi comincia a lamentarsi per l’eccessivo peso sulle sue spalle e a compatirsi e compiangersi perché si sente abbandonato, lasciato solo con la sua tragedia personale. Mi piacerebbe immaginare uno scenario differente, ma temo che Carlo abbia ragione: non saremo mai in grado di andare contro la nostra imperante essenza. Può l’uomo negare la propria natura? No, proprio non può. A breve anche Carlo dimenticherà il dolore e classifcherà come “incubo” quel tragico intermezzo. Il dolore si tramuterà in ricordo e la normalità riacquisterà il sapore aspro e fastidioso di sempre: Carlo ritornerà alla quotidianità e, al minimo intoppo, si avvilirà e sbufferà, come prima. Ciò che lo rende un privilegiato, però, è che è consapevole che tutto questo gli accadrà e che nulla potrà fare contro il Sè stesso che gli governa l'animo.
Carlo ha deciso che si piegherà allo stato delle cose: sbufferà, si lamenterà, si compiangerà e si rammaricherà per ogni stupido intoppo perché poco altro potrà fare.
Gli ho consigliato, però, di dimenarsi in piedi, di evitare di farlo da supino, soprattutto disteso quel maledetto divano, perché tutto quello che ha dovuto passare potrebbe ritornargli in mente il tempo necessario a rovinargli la giornata e conoscendolo so che è una cosa che proprio non potrebbe sopportare.



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